Paola- di SASSONE Giulia



19,30 di lunedì sera; torno a casa dopo il lavoro e sono molto stanca. Oggi ho fatto la spesa più abbondante del solito perché si sta avvicinando il compleanno di mia madre e, anche se mio marito Sergio ha disapprovato, ho intenzione di invitare i parenti a casa. Apro la porta e appoggiato al lavello con gli occhi furiosi c'è Sergio: "Dove sei stata? Perché hai in mano tre borse della spesa? Chi ti ha dato il permesso?". Naturalmente mi controlla tutti i giorni il Bancomat, quello che compro, quanto spendo, controlla ciò che vedo, ciò che sento, controlla ogni mio gesto e respiro. Sono una sua proprietà; mi siedo a testa alta sul divano, questa volta non voglio cedere, non voglio che mi riduca in polvere come sempre: "Ho fatto la spesa per domani sera, gli ospiti arriveranno presto" dico. "Non verranno, è casa mia, decido io! Non puoi scegliere, non sei nessuno, non vali nulla!" grida arrabbiato. Si avvicina, sento il suo respiro affannato per le urla sulla mia pelle, ha il volto rosso per la rabbia. Uno schiaffo, poi un altro. "Puttana!". Un calcio in pancia che mi impedisce quasi di respirare, mi butta a terra, provo ad urlare ma la paura e lo spavento me lo impediscono, "Non sei niente, fai schifo!", è sempre più arrabbiato. Un pugno, un altro calcio, un urlo, il buio, l'abisso, ho perso i sensi. 


Mi sveglio ricoperta dai lividi e mi chiedo se tutto questo finirà mai; mi alzo dolorante, è tutto silenzioso, sento solo il mio respiro pesante, lui non c'è. Trovo un biglietto sul tavolo con su scritto: "Il mio amore è troppo, troppo grande. Ti amo." Quando succedeva all'inizio pensavo fosse colpa mia, lo ringraziavo per questi messaggi e facevo finta di nulla nonostante fossi terrorizzata. Dopo due anni però, mi chiedo se questo sia amore. Picchiare, maltrattare e umiliare la propria moglie è amore? Adesso, dopo molto tempo ho trovato la risposta: ho capito che amare una donna vuol dire accarezzarla, baciarla, farla sentire importante. Ho capito che Sergio non mi ama e che nemmeno io amo lui: come si può amare un mostro del genere? Prendo il biglietto, lo strappo in mille pezzi, proprio come lui riduce me ogni giorno che passa. Me ne voglio andare, non ha senso cercare la felicità nello stesso posto in cui l'ho persa. Voglio scappare da questo luogo che da tempo non posso più chiamare "casa".


Preparo velocemente la valigia: prendo pochi vestiti, qualche ricordo della mia infanzia, ma lascio sul comodino la foto del matrimonio di me e Sergio. Quella foto parla di due persone che ormai non esistono più; il ricordo è sbiadito, sento quel periodo troppo lontano, quasi come se non l'avessi vissuto.


Sono pronta, esco di casa e mi chiudo la porta alle spalle: sono pronta per iniziare la mia nuova vita. Vado alla polizia e racconto tutto, ogni dettaglio doloroso e indelebile. Adesso sono una donna libera, che è riuscita a scappare da ciò che la imprigionava e che ha trovato il coraggio di vivere di nuovo. 


Dimenticavo, mi chiamo Paola, mi sono risposata e ho due bambini fantastici: dal grande dolore in cui ero caduta, sono cresciuta, mi sono alzata e ho riscoperto la felicità. 


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