Era
affezionata a quella penna rossa, sebbene non sapesse che cosa fosse. Elise
l’aveva trovata in strada, abbandonata, morsicchiata, forse da un cane, ma
l’aveva tenuta nella tasca del suo giubbotto blu, senza mostrarla a nessuno.
A
casa c’erano suo padre e suo fratello maggiore, loro non le avrebbero mai
permesso di tenerla, l’istruzione era riservata solo agli uomini, ma Cato non
prendeva seriamente quell’edificio con le pareti color bianco sporco e le
finestre socchiuse, tanto desiderato da Elise.
Suo
padre le ordinava di andare a comprare della farina e davanti alla bottega
c’era la scuola, ella cercava di scorgere le insegnanti alle finestre, a volte
le vedeva che tenevano in mano delle lunghe bacchette di legno puntate su
un’enorme tavola nera: Cato la chiamava lavagna.
Mentre
era in bottega Elise vide tutti i ragazzi che uscivano dalla scuola correndo ed
alcune maestre con uniformi bianche e chignon perfetti. Durante la sua
camminata verso casa Elise aveva trovato la fatidica penna. Quella sera aveva
provato a scarabocchiare qualcosa, senza successo, fino a quando non prese il quaderno
di suo fratello e ricopiò quegli strani simboli che a volte trovava nelle
indicazioni per andare al lago, che si trovava dall’altra parte della montagna.
Elise rimaneva incantata davanti a quell’aggeggio, lo smontava e rimontava,
poiché non riusciva a capire la causa per cui l’inchiostro nero scendeva.
Per
esercitarsi nella scrittura Elise andava al lago, insieme con le pecore, poiché
non si fidava a rimanere a casa con suo fratello, forse egli sarebbe andato a
dire tutto a suo padre, avrebbe fatto la spia, come sempre. Cato aveva i
capelli rossi e in paese veniva definita una persona crudele e meschina, a
causa dei suoi scherzi alle insegnanti e ai suoi compagni. Elise sapeva che
erano tutte bugie, ma a volte l’opinione pubblica le faceva cambiare idea.
Passò
un anno da quel ritrovo, Elise aveva imparato a scrivere in corsivo e in
stampatello, ma a volte faceva ancora fatica a leggere a voce alta. A Monaco
c’era una biblioteca ed Elise ci andava spesso per prendere in prestito dei
volumi, la sua scrittrice preferita era Annette von Droste-Hulshoff con “Der
Knabe im Moor”.
Un
giorno Elise andò dal padre e gli disse che voleva diventare una scrittrice.
Egli andò su tutte le furie, non la fece uscire dalla stanza per una settimana,
aveva limitato il pasto ad una pagnotta e un bicchiere di latte al giorno, come
una carcerata. Infatti Elise lo era e si sentiva ogni giorno più sola senza la
sua penna e il foglio a righe strappato dal quaderno di Cato.
Una
domenica di maggio arrivò alla baita la signorina Schubert, ella bussò alla
porta più volte, finché essa si aprì. La donna si diresse verso la camera della
bambina, prese Elise per il braccio e la portò via. Era stato Cato, aveva
ascoltato quella frase e per far contenta sua sorella aveva chiamato la sua
insegnante di tedesco, la quale di lì a poco sarebbe partita per andare a
vivere in Australia e Elise, in quel paese, avrebbe potuto coronare il suo
sogno.
Il
padre non rivide mai più sua figlia, finché un giorno un postino bussò alla
porta di legno che venti anni prima si era chiusa dietro ai capelli biondi
disordinati di Elise. Egli posò in terra un pacco ed il vecchio lo mise sul
tavolo e lo aprì con cautela, da esso estrasse un libro, l’autrice si chiamava
Elise Werner.
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