Bianca- di MINSENTI Francesca


Credevo fosse l’uomo della mia vita. Mi ero innamorata di un ragazzo bello e gentile, o almeno così pensavo. E invece mi sbagliavo.
L’avevo conosciuto durante un viaggio dopo la maturità; mi ricorderò per sempre di quella vacanza. Ero felicissima perché, finalmente, avevo finito quell’interminabile scuola, ed era iniziata per me una nuova avventura. Avevo deciso di fare quel viaggio con le mie due amiche con cui condividevo tutto. Una sera uscimmo per andare a ballare e, proprio nella discoteca sulla spiaggia dove eravamo andate, incontrai per la prima volta Andrea. Era più grande di me, aveva 24 anni e io 19. Era bellissimo, capelli biondi e occhi verdi, e soprattutto era dolce, simpatico, mi riempiva di attenzioni. Da quel giorno iniziammo a sentirci e vederci. Lui era di Torino e io a settembre avrei frequentato l’università di Medicina in quella città, dunque era facile poterci incontrare. 
Passarono i mesi e io mi stavo innamorando; lui era sempre più gentile, pensavo di aver trovato l’uomo perfetto. 
Andammo a vivere insieme e, dopo 3 anni di convivenza, Andrea mi chiese di sposarlo. Ero la donna più felice del mondo, non stavo più nella pelle dall’eccitazione. Iniziai i preparativi per il grande giorno, che sarebbe stato a luglio. Era tutto perfetto. Avevo trovato l’abito dei miei sogni, ed era tutto pronto per quel giorno che avrebbe dovuto essere il più bello della mia vita. E fu così. La data del matrimonio arrivò: era una giornata bellissima, e io ero raggiante. Fu una cerimonia magnifica e mi divertii tantissimo. Ma non sapevo che da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata.
Tutto iniziò dalla violenza psicologica, circa 4 mesi dopo il matrimonio; mi insultava, mi sminuiva in ogni cosa che facevo, mi faceva sentire inutile ed incapace. Era cambiato: non era più l’uomo premuroso che avevo conosciuto. C’erano giorni in cui era dolce e tenero, mentre in altri momenti era cattivo e mi aggrediva verbalmente. Io però lo amavo, e continuavo a pensare che forse ero io a sbagliare, a comportarmi non correttamente ed ad avere atteggiamenti che lo facevano arrabbiare. Inoltre era diventato molto possessivo, e per giustificarlo diedi di nuovo la colpa a me: ero io a farlo ingelosire troppo. Ero sua, solo sua.
Decisi comunque di non dire nulla, e nessuno si accorse di ciò che accadeva. 
In pubblico Andrea tornava ad essere quel dolce ragazzo e agli occhi di tutti eravamo la coppia felice e perfetta, i due giovani innamorati con una vita magnifica. Ma non era così.
Lentamente iniziai a svuotarmi: non ridevo più, non ero più la ragazza allegra, sempre sorridente di una volta. Passarono i mesi; le offese verbali e gli insulti iniziarono a diminuire. Continuava comunque a dirmi che ero inadatta ad ogni cosa e che facevo schifo; io ci credevo e talvolta ero grata a lui che, nonostante fossi un disastro, rimaneva con me. 
Poi, un giorno, passò alle mani. Iniziò ad essere violento: mi picchiava quasi ogni giorno, ad ogni piccolo litigio Andrea trovava il pretesto per aggredirmi. Spesso utilizzava oggetti. Mi ricordo che una volta, durante una discussione, prese un vaso e, per la rabbia, me lo lanciò colpendomi la schiena e ferendomi. Quel giorno andai in ospedale, ma non ebbi il coraggio di confidare ai medici cos’era successo. Così tornammo a casa e tutto tornò come prima. 
Ciò che mi aveva fatto, il dolore che mi aveva procurato non era altro che l’inizio di quella violenza sia fisica che psicologica che mi fece cadere in depressione e diventare anoressica. Non mangiavo più perché tutto ciò che stavo subendo mi aveva cambiata; non mi riconoscevo più e non mi piacevo. Tutti gli insulti avevano creato in me una profonda insicurezza. 
Credevo a ciò che mi diceva e non ero più quella di prima. Andrea era riuscito a cambiarmi.
Avevo paura, non volevo più fare nulla per timore che mi succedesse qualcosa; ormai non mi difendevo più perché più ci provavo, più lui mi picchiava. 
La paura mi paralizzava, non ero più in grado di reagire, pensavo di essere io la responsabile di ciò che stava succedendo e perciò gli lasciavo fare tutto. 
Aveva il controllo del mio corpo, dei miei sentimenti e delle mie azioni: non potevo uscire, non potevo vedere le mie amiche quando volevo, avevo inoltre lasciato l’università.
Non avevo più una vita. 
La violenza fisica continuava e Andrea era arrivato al punto di abusare di me quando aveva voglia lui, ed io ero impotente e succube.
Nessuno si domandava perché ero cambiata, e spesso la mia famiglia e i miei amici mi criticavano soprattutto per la mia esagerata magrezza. Non capivano il motivo per il quale, nonostante fossi una bella ragazza, benestante e con un marito apparentemente gentile, mi stessi rovinando così.
Passarono altri mesi e gli schiaffi, i pugni, gli abusi continuarono finché, per l’ennesima volta, andai in ospedale per un fortissimo dolore all’addome. Credevo fosse causato dai calci di Andrea, ma in realtà scoprii di essere incinta. Fu una notizia sconvolgente. 
Rimasi ricoverata per 3 giorni a causa della mancanza di vitamine e ferro provocati da un’alimentazione troppo povera. Poi tornai a casa, ma ero sempre più impaurita: ora avevo nelle mani anche la vita del mio bambino oltre che la mia. 
Non dissi nulla ad Andrea, che purtroppo continuava ad alzare le mani. 
Le mie condizioni di salute, però, peggiorarono molto velocemente; decisi dunque di andare per qualche giorno al mare nella casa dei miei genitori con la scusa di aiutare mia mamma a sistemare un po’ prima dell’estate. Andrea mi accompagnò fino a Rimini e tornò a Torino per impegni di lavoro. In quei giorni ebbi l’opportunità di pensare a ciò che stava accadendo, a come sarebbe stata la vita del mio bambino se io non avessi trovato la forza di reagire. Così decisi che, appena tornata a casa, sarei andata a chiedere aiuto. 
E così feci. Per prima cosa ne parlai alla mia migliore amica e ai miei genitori, che cercarono in ogni modo di sostenermi. Successivamente, mi rivolsi al centro contro la violenza sulle donne di Torino. Ãˆ stato fondamentale l’aiuto psicologico da parte di esperti; credevo di riuscire ad uscirne da sola, e invece era impossibile. 
La mia vita stava andando in pezzi; stavo lentamente scomparendo, e Andrea si stava prendendo tutto di me. La violenza psicologica era terribile, ma quella fisica mi aveva distrutta; credevo che prima o poi mi avrebbe uccisa e forse era la cosa che aspettavo, quasi come se fosse una liberazione da lui. Ciò che mi ha riportata alla vita è stata la notizia della gravidanza, perché non potevo permettergli di prendermi anche la mia creatura. 
Così dissi basta! Dopo averlo denunciato, andai via di casa e ottenni il divorzio. E Andrea non lo vidi più.
La via di guarigione è lunga. Ora, dopo 6 anni di abusi, non ne sono ancora completamente uscita. Da un anno è nata Mia, una bambina bellissima: vivo per lei e non voglio che subisca ciò che è successo a me. Le ferite sono ancora profonde, e spesso ricordo ciò che è accaduto. 
La cosa che rimpiango è il fatto di non essere stata in grado di reagire fin dall’inizio e di essermi lasciata andare, permettendo ad Andrea di togliermi tutto, i momenti di felicità, la mia dignità di donna. 
Ma nonostante fossi caduta in un baratro, sono riuscita a rialzarmi con le mie forze ed è questo che fa di me una donna forte che non ha bisogno di un uomo per vivere. Ora sono consapevole di cosa posso fare e, anche se l’insicurezza e le conseguenze di ciò che ho subito sono ancora molto evidenti, sono sicura che un giorno mi guarderò allo specchio e vedrò una donna nuova, più forte di prima, pronta a ricominciare a testa alta.
Ora, a 27 anni, sono sicura di una cosa: l’amore non ammette la violenza! Un uomo che picchia e violenta una donna non la ama. Un amore vero rende felici, non lascia lividi. 




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