Iman- di BURCUL Valentina



Ciao, mi chiamo Iman. Da quello che si è potuto capire, ho ventitré anni: i miei genitori non mi hanno mai riferito l’anno della mia nascita, né lo rammentano. Sono una ragazza di origini afghane, sono nata a Kabul, la capitale. In quella città ho sempre dovuto lottare, in modo particolare contro le ingiustizie sociali che si verificavano. Se in questo istante mi proponessero un viaggio a Kabul, lo rifiuterei immediatamente! Fin dal giorno della mia nascita, ho sempre desiderato essere un maschio. I ragazzi, a Kabul, avevano i pieni diritti, a differenza delle ragazze. Alle femmine era assolutamente proibito andare a scuola e acculturarsi. Sono stata più volte minacciata dai miei genitori, addirittura con le armi. Ho sempre sognato di poter toccare o tenere in mano un libro: quelle poche volte in cui avvistavo una stella cadente,  il mio desiderio era sempre lo stesso. Tutti i miei fratelli sapevano sia leggere sia scrivere, avevano il diritto di voto, non dovevano indossare nessun tipo di velo e potevano andare in qualsiasi luogo pubblico, senza dover essere accompagnati da un uomo adulto. Ossama, mio fratello maggiore, trascorreva le sue intere giornate nella biblioteca di Kabul, quella vicino al mercato, proprio dietro la casa in cui abitavamo. Egli era sempre molto violento e scontroso con me, però, grazie a lui, ho imparato a difendermi. Non ho mai avuto, però, il coraggio di chiedergli di insegnarmi a leggere e scrivere. Dal giorno in cui mia sorella Nadira morì, a causa di un attacco terroristico che interessò l’area del mercato, incominciai a scappare di casa. 
Ho vissuto questo incidente come un incubo, e ancora adesso non riesco a spiegare a me stessa il motivo per cui non mi trovo accanto a lei. Io e Nadira eravamo estremamente legate, in quanto uniche femmine della famiglia, dopo mia madre. Entrambe lottavamo per ottenere gli stessi diritti tra uomini e donne; io prendevo sempre esempio da lei, in quanto era molto più grande di me. Nadira ha lasciato un vuoto implacabile nel mio cuore e nella mia testa. Mi ha sempre insegnato molto, non sono mai riuscita a sopportare la sua assenza. Da quel terribile giorno estivo (ricordo che il sole brillava alto nel cielo e sentivo il caldo afoso che penetrava nelle mie vene), io scappavo di casa ogni notte, per recarmi nella biblioteca e cercare di rubare qualche libro. Se venivo scoperta, potevo addirittura essere uccisa. Ero veramente a rischio, però l’idea di poter leggere, mi rassicurava e non mi tratteneva. Quando mi recavo in biblioteca, sentivo mia sorella che mi parlava, stavo realizzando gran parte del nostro sogno. La biblioteca non era così grande come la immaginavo io, mio fratello mi aveva sempre mentito! Mi recai più volte in quel luogo magico, poi capii che era un’ingiustizia e potevo veramente rischiare la mia vita. Smisi di andare in biblioteca da quando sentii, mentre mi recavo con mio fratello al mercato, che erano state uccise due ragazze perché avevano oltrepassato il cancello di una scuola elementare. Nonostante ciò, sono riuscita a realizzare il mio più grande sogno, ma non sono completamente felice. A differenza di Parigi, luogo in cui abito adesso e in cui conduco il lavoro di giornalista, Kabul era una città che offriva molti meno stimoli dal punto di vista culturale. 
A Kabul ho vissuto i miei più terribili incubi: dalle durissime leggi e discriminazioni contro le donne, alla morte della persona a me più cara. Anche i miei genitori sono morti, esattamente l’anno scorso, a causa di un altro attacco terroristico di un gruppo afghano non molto noto, che non avevo mai sentito nominare. Non sono mai stata completamente sicura del motivo della loro morte, e i miei fratelli mi hanno sempre tenuto nascosto ogni cosa, molto probabilmente per il mio bene. Sono stata adottata quasi un anno fa da una famiglia di intellettuali e acculturati francesi, i Rouge. 
Grazie al loro sostegno e alle loro sollecitazioni, ho avuto modo di integrarmi perfettamente nella società parigina, imparare perfettamente il francese, lingua che mi appassiona molto, e sono in grado di leggere e scrivere. Ho potuto votare alle elezioni, e non c’è cosa che mi faccia sentire più libera. Ora conduco una splendida vita e non desidero altro! Amo il mio lavoro e ho anche avuto parecchio successo. Devo ringraziare particolarmente i miei fratelli, in quanto, nonostante le drammatiche vicissitudini, mi hanno concesso molti privilegi e hanno cercato in tutti i modi di crescermi e accudirmi come si deve!


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