Aurora- di DELMONTE Anna



Aurora aveva deciso. Sarebbe partita l’indomani. Non sapeva dove potersi rifugiare, ma ciò che aveva vissuto due giorni prima, l’aveva uccisa. Si sentiva sporca, usata, debole e sola. Ma non avrebbe mai raccontato a nessuno ciò che le era successo; se ne vergognava troppo. Lei che era bellissima, una ragazza di 17 anni dai lunghi capelli biondi, con due occhi grandi e color nocciola. Amava farsi piacere dagli altri, amava il fatto che tutti, in un modo o nell’altro, la notassero. Indossava vestiti alla moda, che richiamavano gli occhi di chi le stava intorno. Ma dopo quel terribile fatto si rinchiuse in casa, dicendo ai genitori che si era lasciata con il suo ragazzo, il quale non esisteva neanche. Erano le 00.30 di due giorni prima: Aurora stava tornando a casa sua, dopo aver passato una serata tranquilla a casa della sua migliore amica, la quale abita a 500 metri da lei, quando una macchina nera, una Mercedes, si fermò di colpo dietro una curva. Un uomo scese, aprì la portiera e obbligò la giovane a salire. Aurora iniziò ad urlare, ma oramai era troppo tardi, era notte e nessuno l’avrebbe sentita. L’uomo la calmò subito somministrandole un sonnifero, non troppo potente per le intenzioni che aveva. Quando la ragazza si svegliò, spaventata a morte, si trovava in una stanza piccola piccola, con le pareti rosso fuoco e un letto matrimoniale. Per paura di morire, lei cedette, e smise di opporre resistenza, e quell’uomo lo fece, se ne approfittò di lei e del suo giovane corpo. Verso le 01.15 la riportò esattamente dove l’aveva rapita, e la ragazza rimase pietrificata per 10 minuti. Non riusciva a camminare, a muoversi, a chiamare qualcuno per chiedere aiuto. Stava ferma, anzi si sedette sul marciapiede e fissò la luna, in cielo. Aveva un viso pallido, spento, e gli occhi gonfi, che potevano scoppiare in lacrime da un momento all’altro. Ma non pianse; non voleva dare a quell’uomo quella soddisfazione! Si sentiva vuota; avrebbe voluto che la sua amica, con la quale si era così divertita, fosse lì con lei. Ma, in quell’esatto momento, abbandonò il pensiero e giurò a sè stessa che non avrebbe raccontato a nessuno l’accaduto. Era così vergognata per tutto ciò. I genitori, una volta arrivata a casa, non le chiesero nulla o meglio, soltanto se si fosse divertita o meno. Lei accennò un mezzo sorriso e rispose di sì, e si diresse in camera sua con il volto nero come la morte. Non si preoccupò, come ogni notte prima di distendersi, del trucco, ma si infilò nel letto, tirò su le coperte e prese l’orsacchiotto che tanto amava. Non si addormentò, anzi. Restò tutta la notte con gli occhi sbarrati, aperti come quelli di un gufo, ma non appena i genitori si coricarono, ne approfittò per andare a farsi una doccia per eliminare ogni traccia, almeno sul corpo, di quell’uomo schifoso. Tornò a letto. Ebbe una forte fitta allo stomaco, e si racchiuse in sè stessa per sentirsi meno sola, chiudendo anche gli occhi. Le scorrevano, come in un film horror, le immagini di ciò che aveva vissuto soltanto un’ora prima. Le fecero più paura di un qualsiasi film con mostri, sangue, pistole e ciò che di più spaventoso possa esserci. Da quell’esatto momento non riuscì più a sentirsi bella, non si guardava più allo specchio, e l’intero giorno seguente rimase distesa sul letto, dicendo alla mamma che si sentiva molto stanca. La sua mente viaggiava, perché in quel posto non ci voleva più stare, e decise che durante la notte sarebbe partita, non sapendo neanche lei per dove. Era però troppo triste e non voleva nessuno; voleva convivere con sè stessa quel dolore che la stava devastando, voleva cercare di abituarsi, perché una ferita così grande non può guarire. Prese una valigia delle dimensioni di un cuscino, ci mise dentro ciò che più aveva di caro. Inoltre, fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare prima. “Mamma e papà mi capiranno”, si consolò. Si diresse verso la cassaforte e rubò dei soldi, molti, forse troppi, ma le servivano. Lasciò una lettera per ogni familiare e amico, e le distribuì sul letto, in modo ordinato. Si guardò attorno e, cercando di non fare alcun rumore, si lasciò tutto alle spalle, anzi, non tutto. Era fatta, doveva andare via, lontano.
Mi dispiace davvero, non è da me scappare dai problemi, ma non riesco a non piangere, non ci sono parole per dirti come mi sento. Ti amo amica mia, per sempre sarà così.”
Scrisse una lettera anche a me, la sua migliore amica, mi raccontò tutto e finì così. Mi disse anche di non cercarla, ma lo feci lo stesso. Avvertii i suoi genitori, i quali raccontarono tutto alla polizia. La trovarono senza vita, nel fiume a due chilometri dal nostro quartiere. Lotterò sempre contro la violenza sulle donne, lo farò per lei.


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