Greta- di BERGUI Massimiliano



Mi chiamo Greta. Mio marito iniziò a picchiarmi due anni dopo il nostro matrimonio. Ci sposammo l’11 agosto del 2000, e quello fu il giorno più bello della mia vita. Anche il viaggio di nozze fu indimenticabile.
Mio marito iniziò a picchiarmi l’11 agosto del 2002. Era il secondo anniversario del nostro matrimonio. Quella sera andammo a mangiare in un ristorante, avemmo un banale litigio davanti ai camerieri e mio marito mi guardò torvo, con uno sguardo che non potrò mai dimenticare. Non disse una parola da quando uscimmo dal ristorante, e così fece in macchina al ritorno a casa. Ma, quando entrammo nell'appartamento, mi picchiò. Da quel momento i nostri litigi iniziavano per piccoli malintesi e terminavano con lui che alzava le mani su di me quasi con piacere, per farmi stare zitta. Così mi diceva, e io non riuscivo a fermarlo, a farlo smettere, non riuscivo a difendermi. Ricordo che 
una sera rientrò a casa tardi. Mi aveva detto che si sarebbe fermato da un amico a vedere una partita. Io sapevo che non era vero, che le cose non erano andate così, sapevo dov'era stato. Quando entrò in casa gli urlai di andarsene dato che, da qualche tempo, oltre a picchiarmi, tornava a casa ubriaco. Quella sera mi buttò a terra e mi prese a calci.
Mia figlia aveva già otto anni e, sentendomi piangere, intervenne in mia difesa. Lui le tirò uno schiaffo e la gettò a terra. Io mi arrotolai su di lei perché non la toccasse più. Ci mandò a letto e ci disse che, se non l’avessimo ascoltato, ci avrebbe ammazzato di botte. Da quel giorno ho trascorso la mia vita a pensare, sopportando le botte, le umiliazioni che non meritavo. Mi sono sforzata di sopportare tutto per amore, per amore di mia figlia.
La mia condizione di moglie mantenuta e senza lavoro, economicamente dipendente da un uomo che forse, un tempo, mi aveva amato e che aveva cambiato il modo di farlo, non mi permettevano di andare a vivere da sola. Quanto amore una donna sa dare e in quanti modi lo sa dimostrare! I vestiti sempre puliti, la casa in ordine linda e profumata, colazione, pranzo e cena, la spesa fatta, il frigo sempre pieno. Le spalle rotte, le gambe stanche e nemmeno un grazie. A questo avevo iniziato a pensare. Quante botte avevo già preso, le botte che nessuno merita, prese in un momento di pazzia, di ubriacatura, per una sciocchezza, per una parola detta di troppo. Come ho fatto a resistere a tutto ciò? Quante volte mi sono ripetuta: “Questa sarà l’ultima volta, non accadrà più, e invece sono ancora qui. Quando mi picchia penso a mia madre che si vergognerebbe se non lo lasciassi, e a mio padre che piangerebbe se solo sapesse come vengo trattata. Non so perché lo faccio: forse per paura, per mia figlia, perché non le accada nulla. Finché resisterò starò qui, in quest’angolo a pensare, a soffrire in silenzio, in lacrime. Quando piango vorrei essere solo una bambina che è triste per capriccio, ma purtroppo non è così. Speravo che tutto questo sarebbe finito; ma mia figlia è ormai grande, vede tutto, scappa in giardino sull'altalena, dove canta a squarciagola o si chiude in camera sua per non vedere, per non sentire, per non impazzire. 
Dopo tutti questi anni ho detto basta. Ho reagito quando mia figlia mi ha detto: “Se mi vuoi veramente bene, portami via da questa casa”. Da quel momento, nessuno mi ha più fermata. Ho capito qual’ era la cosa giusta da fare per noi due. Mi ha detto che se lo lascerò mi ammazzerà, ma io non ho più paura di lui. Sono scappata e la mia famiglia mi ha accolto come si fa con una figlia amata. Quell'uomo che ho sposato, che ha promesso davanti ad un altare di amarmi e rispettarmi, ora non c’è più. Tornerà la pace, quella che voglio per me, quella che sogno per la mia bimba che mi guarda, che ancora mi abbraccia, che mi vuole bene e che mi chiama mamma.


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