Il prete del villaggio fantasma

C’è un prete conosciuto in tutto il Niassa: Padre Pedro. La polizia non lo ferma mai, dice lui, perché lo conoscono. Il Niassa è grande quanto il Nord Italia!

Quando cammina sembra di veder avanzare un gorilla: le sue grandi spalle, la pancia molto pronunciata, un solo occhio:l’altro a volte c’è a volte no, dipende se si ricorda di metterlo e se lo trova al mattino;la sua andatura è molto simile a quella di un nostro progenitore, trascina una gamba ed ha un braccio che non sempre riesce ad usare a causa di una brutta frattura procuratasi con la motocicletta. Un giorno alcuni ragazzi a Cuamba si mettono a ridere al suo passaggio, lui si ferma, si volta e dice loro: “Che c’è da ridere? Dio mi ha fatto così”. E lui in Dio ci crede davvero, la prima sua omelia che ascoltai nella chiesa di mattoni a vista di Mepanhira fu: “Mepanhira è il primo gradino del Paradiso e voi dovete ritenervi fortunati di vivere qui”.

Mepanhira è una ex missione della Consolata, bombardata durante la guerra di liberazione dai Portoghesi: è rimasta in piedi la bellissima chiesa che appare, a chi arriva in macchina, dopo un faticoso viaggio di 4 ore su pista e con danza finale sulle radici delle centenarie acacie, come un miraggio in quel posto sperduto e dimenticato dagli uomini, ma non da Dio.

La ex missione si trova su un altipiano ai piedi di due montagne; una di queste è denominata la montagna dei cobra, perché sembra il luogo preferito di questi animali. Da qualche anno la costruzione di una piccola diga a monte e delle tubature portano l’acqua alla fontana posta nel centro di uno spazio che, nel passato, era il giardino della missione. All’alba, avvolte nella nebbia, baciate dall’umidità arrivano le donne con i loro bambini appesi al collo ad attingere l’acqua per la famiglia e portano con il loro sussurrato cicaleccio e le loro gonne colorate un augurio di buona giornata. In lontananza si sentono le voci flebili delle 3 suore, che abitano accanto all’orfanotrofio, che cantano le lodi a Dio, poco lontano i pianti dei bambini che vengono lavati con l’acqua gelida della montagna fendono la nebbia.
Mepanhira è un paese fantasma, non tanto perché è abitato da passi felpati, da sorrisi timidi, da lacrime trattenute, da pianti soffocati, ma perché non esiste sulla carta geografica, il punto di riferimento a cui si fa capo quando si chiedono informazioni è Chamba. 
Sono alcune capanne disseminate nel nulla, è una scuola silenziosa frequentata da 900 studenti silenziosi, sono bambini dell’orfanotrofio, per lo più silenziosi, che guardano con grandi occhi neri, è un mondo intero che potrebbe sparire senza che nessuno se ne accorga, eppure… se visiti una volta Mepanhira, ti entra dentro, nel sangue, nella pelle, negli occhi, nel naso, nel cuore e non ti lascia mai più. Quale è la magia di Mepanhira? Nessuno lo sa, ma ognuno se la porta dentro per l’eternità!
Pedro
è stato per 4 anni il re, il servo, il sovrano, l’operaio, l’imperatore, il contadino, il dittatore, il muratore, l’anima di questo luogo. Tutti lo conoscono; la sua risata grassa risuona in tutta la ex missione, la sua voce potente sembra sempre essere sul punto di sgridare qualcuno, il suo modo di fare rozzo spaventa chi lo incontra per la prima volta, eppure, sotto quell’omone grande e grosso, batte un cuore di una sensibilità unica e un amore smisurato per la sua terra e la sua gente.

In quattro anni ha rivoluzionato Mepanhira: fatto costruire la diga, sistemato le tubature e le vasche di decantazione, predisposto un orto, scavato una fossa per farla diventare laghetto per i pesci che sarebbero serviti all’orfanotrofio, (purtroppo una notte i “vicini”gliela hanno riempita di terra e questo era un avviso che significava che “la vasca non s’ha da fare”), risistemate le lamiere zincate sulla chiesa, rimesso in sesto la struttura dell’orfanotrofio e riabilitato gli edifici scolastici. 
Senza parlare del bene che ha fatto individualmente al suo popolo: alla vecchietta che veniva a trovarlo la domenica pomeriggio non permetteva mai di andarsene senza un pezzo di sapone; strigliava i giovani con le parole e li accarezzava con i suoi pragmatici consigli. E’ persino riuscito a procurare 10 figli ad una donna a cui, dopo il secondo parto rischioso erano state legate le tube! Ogni qualvolta passa con il suo pick up davanti alla capanna di quella famiglia il marito, ormai anziano, lo saluta con ampi sorrisi, grato della ricchezza che Padre Pedro gli ha procurato: altre dieci belle creature che assicureranno alla mamma e al papà una vecchiaia serena. In Africa non c’è previdenza sociale, né pensione, e sono, quindi, i figli che si prendono cura dei propri genitori quando questi invecchiano.

Poi, un triste giorno, il vescovo decide che un uomo di tale valore non possa essere relegato in un luogo sconosciuto alle carte geografiche e se lo prende con sé come economo: ha bisogno di gente operosa e soprattutto onesta vicino a sé. Ed è così che Padre Pedro si ammala: un Don Camillo come lui, relegato in mezzo alle scartoffie, davanti al computer che gli procura solo lancinanti mal di capo e sonnolenza, lontano dai suoi amati bambini non riesce ad abituarsi ad una vita sedentaria e amministrativa.

Per fortuna il vescovo è una persona molto intelligente e - aggiungerei- piuttosto simile a Padre Pedro, capisce che è solo l’obbedienza che trattiene il padre a Lichinga e,allora, lo destina in un’altra parrocchia.
Lì Padre Pedro rinasce nell’affrontare il problema della mancanza d’acqua, nel sistemare una scuola d’infanzia e nel cominciare a farsi apprezzare dai suoi nuovi parrocchiani. 
È lì che lo incontro nell’estate 2012, in trincea pronto a riprendere la sua battaglia. Il pick up non ce l'ha più perché l’aveva ottenuto per l’Orfanotrofio di Mepanhira e lì lo ha lasciato perché potesse portare i bambini in ospedale . Lui va avanti e indietro (160 km ogni volta) con la moto, recuperata dopo l’incidente, che guida come Gambadilegno o chiedendo boleia (un passaggio) o in chiapas (pulmino). Ãˆ partito da Mepanhira con un paio di pantaloni e due camicie. Dice che non gli serve altro! A Mepanhira ha lasciato tante belle opere, amici e persone che lo amano e lo apprezzano.


Avete presente il sostituto di Don Camillo? Quel pretino magrino e timidino che il vescovo manda al suo posto? Bene, a Mepanhira è successa la stessa cosa; il nostro Don Camillo è stato sostituito da un giovane prete, appena ordinato, un po’ spaventato dal lavoro che deve affrontare, tutto libri e meditazioni…ma crescerà anche lui e si farà le ossa all’ombra del campanile del villaggio fantasma.


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