Donne africane

Quando una notte di inizio agosto arrivai a Montepuez, in Mozambico, fui accolta da un caloroso benvenuto da parte delle ragazze del LAR “Irene Stefani”.


Appena sentito il rumore dell'auto le più grandi, che erano riuscite a resistere al sonno per aspettare il nostro arrivo, si avvicinarono a gruppetti con il passo felpato che ricordava quello di una pantera e nel buio, rischiarato da un manto di stelle e dalla luna, i loro occhi brillavano contenti. Dalle loro bocche non uscirono parole affrettate di saluto, ma un canto di benvenuto scandito dal battito delle mani. 

Fu un'accoglienza inaspettata e proprio per questo molto emozionante: in cuore ebbi la sensazione di essere tornata a "casa". Poi, come erano giunte, le ragazze se ne andarono in silenzio avvolte dai profumi dei fiori e dalla magia della notte africana. Con una candela in una mano e un fagotto nell'altra andai a letto anch'io, tanto per cambiare mancava l’energia.



L'indomani la vita riprese esattamente da dove l'avevo lasciata l'anno precedente, le persone che incontravo mi salutavano calorosamente, ma… come se le avessi lasciate per poco tempo, si erano fidate della mia promessa che sarei ritornata. 

Il primo giorno di scuola ritrovai nei banchi molti visi conosciuti e radiosi ed il sorriso si aprì su due file di denti candidi quando si sentirono riconosciuti e chiamati per nome. 

Questa estate ho voluto fare un esperimento avviando una piccola biblioteca in lingua inglese con l'aiuto di miei alunni-adulti che hanno acquistato 40 libri. 

Era commovente osservare gli studenti a divorare i dizionari e i libri e non riesco a trovare parole adatte per descrivere il loro sguardo affascinato nell'ascoltare da un CD le voci di attori che leggevano le storie. Tutto questo è stato possibile grazie a Bianca, Franca, Franco, Manlio, Manuela e Stefania; quanto avrei voluto che questi amici fossero lì con me a godersi la scena che si ripeteva uguale ogni giorno, sì perché gli Africani sanno ancora stupirsi ripetutamente!



L'estate precedente ero partita con ben due valigie colme di oggetti e cibo che i Costigliolesi, che sempre si distinguono per la loro generosità, mi avevano consegnato per le "ragazze" di Suor Ermanna. In una di queste valigie c'erano, oltre ai libri, anche 62 T-shirts che il Centro Missionario di Costigliole aveva fatto stampare con la foto del LAR e della sua patrona Sr Irene Stefani perché potessero essere usate come divisa del LAR.

La Domenica in cui l'uniforme fu indossata per la prima volta ci furono grande trambusto ed agitazione nei preparativi e, una volta in chiesa, le ragazze furono ammirate in silenzio dagli sguardi fotografici delle quasi 2.000 persone che erano presenti alla funzione.



Un po' di cuore di Costigliole vive a Montepuez, le ragazze ogni mattino e sera, infatti, pregano per i loro benefattori e tra questi sono inclusi i vari Franca, Franco, Teresa, Stefanina, Rosalba, Milena, Aldo, Bruna, Marilena, Elena, Pina, Teresita, Carla, Laura, Gianfranco, Albina, Pinuccia, Ida, Jolanda, Lucia, Elvina, Maria …e tutte le persone che lavorano per il Centro Missionario. Quello che noi facciamo per questo popolo è sì una goccia nell'oceano, ma l'oceano è formato da tante gocce! 

Il LAR "Irene Stefani” a Montepuez accoglie 57 ragazze che frequentano la scuola , dalle elementari al Liceo. Sono seguite in particolare da Suor Ermanna, che è stata l'ideatrice di questo collegio femminile che ospita le ragazze più povere del mato, quasi tutte orfane di uno o di entrambi i genitori ed alle quali sarebbe stato impossibile frequentare la scuola statale, non potendosi permettere di vivere fuori casa. Anche le ragazze stesse contribuiscono all'andamento economico del LAR: durante il tempo libero allevano galline, tacchini, conigli per poi vendere le uova e la carne, gestiscono un piccolo forno per cuocere il pane, si preparano e cucinano il cibo sotto la vigilanza delle "monitore", lavano i propri indumenti e li stirano e, alle maggiori, è affidata la cura delle più piccole. 

Vengono, così, abituate a svolgere le mansioni che la loro vita di madri e spose richiederà. Per le donne il diritto all'istruzione diventa particolarmente difficile a causa di secoli di sottomissione all'uomo . Non si ritiene necessaria l'istruzione per le ragazze perché la loro vita è pianificata fin dalla nascita. La vita nel mato- savana- è dura: le donne si fanno a volte 10-20 km per attingere l'acqua che poi trasportano in secchi di 20 kg sulla testa! Sì, perché, se la vita è già così esigente per tutti, per le donne è ancora più difficile. A loro va la cura dei figli, della casa e il lavoro dei campi.

La giornata dei Mozambicani comincia all'alba, verso le 4.30, quando il sole sorge. Il primo lavoro che uomini e donne fanno è di spazzare la casa e tutto il cortile antistante. Quando si recano al lavoro al campo si fermano tutto il giorno, anche perché alcune machambas (orti) distano 20-30 Km dall'abitato. Durante il giorno la natura provvede al nutrimento: ci sono bacche che alleviano la sete e si possono estrarre le radici della mandioca per sedare gli attacchi della fame. La radice della mandioca è dissetante e gustosa. Per noi occidentali è un piacevole snack, ma mangiarla 365 giorni all'anno, essiccata e polverizzata in farina, può diventare davvero insopportabile.



Le donne si recano ai campi con una zappa che, oltre ad essere usata come strumento agricolo, serve pure da arma di difesa in caso di cattivi incontri con animali pericolosi: la zona è ricca di serpenti velenosi. Gli uomini, invece, usano la faca, un grande coltello; i bambini imparano a destreggiarsi con la faca fin da piccoli. La loro giornata prosegue tra lavori in casa e nei campi fino al tramonto, quando possono godersi lo spettacolo più bello che esista nel mondo: il sole che si corica. 

L'emozione di fronte ad un tramonto africano è forte. Il tramonto segna la fine della giornata per l'Africano: è ora di godersi il meritato riposo, anche perché nelle capanne non c'è luce e la candela o il lume a petrolio vengono usati con parsimonia. Chi non ha soldi per comprarsi il cibo o pagarsi i medicinali non può permettersi di bruciare il denaro in luce.



L'Africano non vive una vita frenetica: può, quindi, trascorrere ore intere ad aspettare di essere ricevuto da qualcuno, senza spazientirsi. Quando, però, riesce a parlarti, non puoi accomiatarlo in tutta fretta, ma devi sederti con lui e dedicargli il tempo che egli ritiene necessario. Se vai di fretta non si spazientirà, ma rimarrà deluso ed insoddisfatto. Oppure tornerà a trovarti ripetutamente finché non otterrà la tua attenzione e un po' del tuo tempo. 

L'arrivo nei villaggi, apparentemente deserti, è sempre segnato dall'accorrere dei bambini, che richiamano gli adulti ed anche gli animali domestici: sembra proprio che tutto il villaggio voglia porgere il benvenuto: il bianco e la sua jeep sono sempre una fonte di attrazione. Se si va a trovare una famiglia, tutta la parentela si riunisce per festeggiare. In visita ad una famiglia nel profondo mato siamo state esposte in veranda, per essere osservate da tutti. Che imbarazzo! 

Porto radicate in me le esperienze ed emozioni che ho vissuto con questo popolo sempre in cammino… alla ricerca di un po' di acqua, di pane, di PACE. 

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