Miriam- di DEGIOVANNI Arianna



Mi chiamo Miriam, Miriam Kaarti. Sono originaria dell'India, e sono nata precisamente ad Haridwar; ho 35 anni e lavoro come operaia in una fabbrica in Italia . Ho una sorella più piccola, ha 26 anni ed il suo nome è Kokila, e ho anche due fratelli gemelli di 37 anni: Karen e Ajar. E' ormai da circa 10 anni che non li vedo e non ho notizie di loro. Quando ancora abitavo insieme con la mia famiglia, io e i miei fratelli frequentavamo gli stessi amici; eravamo in dieci, e li consideravo i miei migliori amici. Tra questi c'era un ragazzo, si chiamava Lalit; ero particolarmente attratta da lui, e lui mi corrispondeva. Non facevamo altro che scherzare e divertirci quando eravamo insieme. Dopo poco tempo, mi chiese di diventare la sua fidanzata. Sapevo benissimo che, se avessi accettato, mi sarei cacciata in un mare di guai, e se non avessi accettato molto probabilmente avrei rovinato il rapporto, se non addirittura perso. Ma io ero innamorata e decisi di rischiare. 
Il primo mese fu per me un periodo di angoscia: avevo timore che i miei genitori lo scoprissero attraverso i pettegolezzi del paese, mentre i miei fratelli non lo sapevano nemmeno, e io non trovavo le parole per poterglielo dire. Era un sabato sera, quando Lalit mi chiese di uscire. Non trovando scuse, pur di riuscire a convincere i miei, presi Karen e glielo dissi. Era sconvolto, mi continuava a ripetere che se avessi fatto una cosa del genere, mi avrebbero punita e cacciata di casa, perché nel mio paese la tradizione era che sin dalla nascita, i genitori sceglievano chi sarebbe stato il futuro marito di ogni figlia. Sì, anche io mi sarei dovuta sposare con un uomo di circa dieci anni in più, ma non fu così. 
Si venne a sapere della nostra storia d'amore dopo un anno; non mi cacciarono di casa, ma mi rinchiusero dentro ad una stanza dell'appartamento, in cui l'unica cosa che potevo fare era mangiare. Non sentii più Lalit. L'unica cosa positiva era quella di sapere che, nonostante tutto, la sua vita proseguiva e stava discretamente bene, o almeno così mi veniva riferito da mia sorella e da Karen e Ajar. Mi sentivo come chiusa in una prigione, non potevo nemmeno sfogarmi con nessuno, ma io non ero per niente pentita di ciò che avevo fatto. Io Lalit lo amavo ancora. 
Una sera aspettai sino a notte tarda e, controllando dalle fessure della porta che tutti i miei familiari dormissero, scappai di casa e mi recai da Lalit. Non potevamo rimanere nel nostro paese, altrimenti avremmo dovuto prendere ognuno la propria strada. Così decidemmo di andarcene. Eravamo molto giovani, entrambi avevamo un futuro davanti. 
Arrivati in Italia non fu affatto semplice, ma con il tempo riuscimmo ad adattarci. Dopo aver trovato un lavoro, decidemmo di sposarci e così fu, non mi sembra nemmeno vero che il sogno di quando ero un'adolescente si sia avverato, e da poco abbiamo scoperto di aspettare un figlio. 
Mi manca assai la mia famiglia, specialmente i miei fratelli, ma penso che mai e poi mai mi perdoneranno per avere violato una tradizione religiosa tramandata ormai da moltissimi anni. 


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