Carlotta- di GAZZERA Sofia




Sono Carlotta e ho 25 anni. Lavoro da alcuni anni nell'ambito della moda, e ho intrapreso una carriera come modella, ma anche come stilista in un atelier a Milano, grazie anche all'aiuto del mio capo, Lorenzo.
Da 2 anni sono fidanzata con Luca, un ragazzo che lavora nel bar vicino al mio negozio. Ha due anni in più di me, è molto premuroso e talvolta possessivo, ma ciò non mi dà particolarmente fastidio, dal momento che abbiamo scoperto di aspettare un figlio.
La notizia della gravidanza mi aveva sconvolta, ero felicissima, ma decisi comunque di non dire nulla al mio capo per timore di perdere il lavoro. Lorenzo non era una persona cattiva; lo conoscevo da parecchi anni e credevo fosse un uomo gentile, ma in realtà mi sbagliavo. Quando iniziai a lavorare nel negozio, si prendeva molta cura di me, mi trattava come una figlia considerando anche la mia giovane età; ma da alcuni mesi era diventato molto scontroso, arrogante e pretendeva molto da me, inoltre voleva che lavorassi molte ore in più rispetto agli altri.
Da un po' avevo notato un profondo cambiamento, nei suoi occhi traspariva molta rabbia e dolore. Cercavo di parlargli e aiutarlo ad aprirsi per sfogare questi suoi sentimenti, ma era inutile. Si era chiuso in una bolla e non voleva l'appoggio di nessuno.
Purtroppo, però, iniziò a sfogarsi su di me.
Tutto cominciò con la violenza verbale: mi insultava e talvolta minacciava. Ogni volta che sbagliavo o che facevo qualcosa che a lui non piaceva mi urlava addosso e mi diceva che ero incapace. La situazione stava diventando molto pesante, ma comunque non volli dire nulla a Luca per non farlo preoccupare inutilmente: "sono solo insulti", pensavo, "prima o poi smetterà".
E invece no. Erano passate tre settimane e le offese continuavano.
Le cose però sembravano migliorare lentamente; infatti talvolta cercava di aiutarmi e tornava ad essere il dolce capo .Questi apparenti miglioramenti però non erano altro che delle "maschere" attraverso le quali nascondeva il suo vero carattere e manipolava le persone come voleva.
Dopo alcuni mesi, tutto iniziò a peggiorare: gli insulti si erano trasformati in schiaffi e pugni, e io non ero in grado di reagire. Mi minacciava continuamente, dicendomi che se avessi detto qualcosa a qualcuno mi avrebbe uccisa.
Avevo troppa paura e non dissi nulla a Luca. Spesso tonavo a casa con dei lividi o dei graffi e, quando mi chiedeva cosa mi era successo, inventavo delle scuse, a volte anche banali. Lui però iniziò a preoccuparsi della mia salute sia fisica che psicologica; pensava, infatti, che fossi depressa e che mi procurassi quelle ferite da sola. Mi portò perciò da una psicologa. Io però non riuscivo a raccontarle ciò che stavo subendo e quindi dicevo che andava tutto bene e che ero solo stanca per il troppo lavoro.
Un giorno però successe una cosa terribile. Avevo finalmente deciso a reagire e volevo licenziarmi da quel lavoro che mi aveva profondamente cambiata e che non mi aveva più reso felice come all'inizio. Andai quindi da Lorenzo, dicendogli che avevo scoperto di essere incinta, e che quindi avrei lasciato la carriera per poter prendermi cura del mio bambino, che sarebbe nato tra poco più di due mesi. A questa notizia il mio capo non reagì bene, si innervosì molto e iniziò a insultami. Decisi di andarmene prima che le cose peggiorassero, ma non ebbi il tempo di uscire che Lorenzo mi prese e mi buttò a terra. Era fuori di sè, iniziò a picchiarmi e a tirarmi calci nel ventre. Io urlavo per il dolore, credevo di morire. Quando Lorenzo sentì dei rumori provenienti da fuori, smise di picchiarmi e uscì dal negozio come se nulla fosse successo.
Io rimasi stesa a terra in una pozza di sangue. Ebbi ancora le forze di prendere il telefono dalla borsa e chiamare Luca. Dopo la chiamata svenni e quando ripresi conoscenza ero in ambulanza con Luca. Era disperato.
Ricordo solo che il dolore era terribile.
Quando arrivammo in ambulanza, mi portarono in sala operatoria perchè avevo una forte emorragia, temevano che potessi perdere il bambino. E purtroppo fu così.
Mi svegliai dopo l'operazione e Luca mi diede la terribile notizia. Ero sconvolta, non volevo credere che un uomo potesse essere così cattivo.
Rimasi in ospedale due settimane a causa delle gravità delle lesioni; quando uscii, però, la via di guarigione non fu semplice. Fisicamente mi ripresi abbastanza velocemente ma purtroppo le ferite psicologiche non le ho ancora superate del tutto.
La cosa di cui mi pento maggiormente è di non aver avuto la forza di reagire subito e di non aver avuto il coraggio di parlarne. Ho lasciato che un uomo mi rendesse incapace di parlare, di far sentire la mia voce. Il silenzio non è l'arma giusta per combattere questa lotta contro la violenza sulle donne.



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