Astra- di BRUNO Letizia



Oggi, finalmente, ho deciso di raccontare la mia storia, malgrado sia monotona e molto simile a quella di tante ragazze che sono vissute e che vivranno dopo di me in Turchia, la mia terra natia. Ribadisco che la storia si può definire “una storia già sentita”, fino alla svolta essenziale che ha cambiato, positivamente, il mio modo di pensare e agire, permettendomi di allargare i miei orizzonti e, di conseguenza, ho scelto di non sottomettermi alle usanze tradizionali che annullano completamente la vita di tante ragazze. Questa sono io, semplicemente io: ASTRA. Ho ventidue anni e sono nata in un piccolissimo paese con poco più di cinquecento abitanti. Alla mia nascita mi era già stato assegnato un compito preciso, la mia missione: sposarmi con un ricco ragazzo del paese più vecchio di me di “soli” dieci anni e con lui avere molti figli. Questo era il mio compito principale, ma ne avevo molti altri: pulire, spazzare, cucinare, lavare, stendere e stirare. Inoltre mi erano state imposte molte regole, tra cui la più importante era: “Ogni donna non deve far parlare di sé, né nel male né nel bene”. Quando avevo circa sette anni, ero libera di andare a scuola e di frequentare amiche e amici.
Ricordo ancora con tenerezza il giorno in cui sono andata alla mia prima e ultima festa: avevo appunto sette anni, e mi era stato concesso di trascorrere il pomeriggio dalla mia amica Tamila.
Abbiamo saltato e ballato a ritmo di musica inglese, incomprensibile, ma terribilmente coinvolgente.
Al mio ritorno, la sera, i miei genitori mi avevano fatto un discorso, il discorso di quando si diventa signorina. Mi hanno letteralmente imposto una nuova vita tra le mura domestiche, hanno gettato tutti i miei vestiti e li hanno rimpiazzati con lunghe tuniche di raso nero accollatissime, proibendomi qualsiasi contatto con il mondo esterno. Ho iniziato la routine che avrebbe dovuto accompagnarmi per tutta la vita intera: sveglia alle cinque e mezza, colazione e dopo di che lavori di casa, lavori di casa e ancora lavori di casa. Ho imparato a cucinare cibi tipici deliziosi, inoltre ho dovuto apprendere a rammendare ogni tipo di indumento, in particolare le calze. E il giorno più terribile arrivò in occasione del suo quindicesimo compleanno, quando mi fu presentato il mio promesso sposo. Un bel ragazzo bruno, all'apparenza educato che sedeva vicino a me composto. Io subito pensai che quello fosse il mio destino, ma poi, riflettendoci, capii. 
“Dov’è la mia libertà?” “E se io non volessi sposarlo?”. Tutte queste domande non avevano una risposta precisa, ma il mio istinto mi ha portata a dare risposte affrettate. La sera stessa mi sono recata da mio padre nello studio, una stanzina stretta e buia, e io ho espressamente detto di non voler maritare il mio promesso sposo. La risposta non è stata verbale, ma a suon di colpi. Sentivo le piastrelle fredde sulla mia pelle, la luce del lampadario mi abbagliava, e un sottile rivolo rosso mi sgorgava dalla tempia. Porto ancora con me i segni fisici e psichici della mia ribellione. Di qui decisi che la mia vita doveva, doveva cambiare.
Il giorno del mio matrimonio arrivò anche mia zia Vilena che, contro le regole, si era maritata con un uomo straniero e viveva in Italia. Appena arrivata mi abbracciò così forte da togliermi il respiro e con voce roca mi disse: “Piccola mia, sei felice?” A me cominciarono a sgorgare lacrime amare e lei rispose tranquillamente e con un sorrisetto appena accennato: “Infatti, ci sono io per salvarti.” Dopo una rocambolesca fuga, mi fece salire in auto. Al volante c'era Mauro, il marito di mia zia. L'uomo sfrecciò subito via più veloce della luce. Il viaggio fu lungo e stancante, ed io non comprendevo bene cosa mi stesse accadendo. Arrivammo in Italia, mi presentarono i loro bambini e mi ambientai.
Vi scrivo dalla mia camera, a Lagnasco: vivo nella mia casa, la casa dei miei zii, che ora sono diventati i miei genitori.
Soprattutto sono single, per scelta, perché tengo alla mia libertà.


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