MARGHERITA di Alessandra Racca






Margherita nacque in un piccolo paesino di campagna nella zona del cuneese. La famiglia da cui proveniva era di umili condizioni, tutti i membri dovevano contribuire al sostentamento familiare lavorando nei campi.

Margherita era la primogenita dei signori Rolfo, i quali avevano dato alla luce altri tre figli, due femmine e un maschio. Per questo, doveva ritenersi molto fortunata, perché, essendo la più grande, avrebbe avuto la possibilità di studiare.

Infatti, il primo ottobre 1934 la bambina indossò la camicetta, la gonnellina e le scarpette nuove, legò insieme fogli di carta con una cintura e a piedi si recò in paese, dove di fronte al cancello della piccola scuola, le sue cugine più grandi la aspettavano per entrare insieme.

Questo giorno fu per Margherita uno dei più importanti della sua vita, stare seduta al banco con altre bambine e ascoltare i racconti della maestra, oppure riprodurre sul foglio quei segni strani che quest'ultima incideva col gessetto sulla lavagna.

Non passò molto tempo prima che la bambina si rese conto di quanto era bello andare a scuola, di quanto imparare a mettere insieme lettere per formare una parola, leggerla e scriverla, e fare di conto fosse divertente.

Bisogna, però, tenere presente che ella era sempre stata curiosa. Sin dai primi anni era spinta a voler scoprire cose nuove e non era per nulla ingenua.

A Margherita non importava che la scuola fosse lontana, la strada la conosceva e per lei non era un peso doversi svegliare tanto presto per non arrivare in ritardo.

La gioia, però, si spegneva dopo che la campanella che annunciava la fine delle lezioni suonava. La fanciulla doveva correre in fretta a casa, mettersi gli abiti da “mincadì” (che in piemontese significa “di tutti di giorni”) e aiutare in qualsiasi lavoretto domestico che fosse in grado di svolgere. Doveva aiutare la nonna a dare da mangiare agli animali della cascina, cogliere i frutti degli alberi e della terra e aiutare la mamma in cucina nella preparazione dei pasti.

Dunque, nei suoi pomeriggi non c'era tempo per dedicarsi allo studio. Ma questo non le impediva di  svolgere i compiti assegnati dalla maestra di sera; infatti, dopo cena, saliva nella camera dei bambini con una candela e studiava per un'oretta, prima che gli adulti arrivassero a controllare che i bimbi stessero dormendo.

Margherita era molto portata per la scuola, soprattutto per la matematica, e faceva progressi di mese in mese. Ricevettero conferma di questo suo percorso anche i genitori, al momento della consegna delle pagelle. Ma per loro non fu motivo di chissà che grande entusiasmo, la priorità era il lavoro, il poter avere qualcosa da mettere in tavola tutte le sere.

L’acuta bambina continuò con diligenza a presentarsi alle lezioni e a svolgere i compiti assegnati con serenità, per quanto le era possibile. Si divertiva tantissimo a fare gli esercizi di aritmetica, la sua era una mente scientifica e razionale, infatti non era per nulla creativa, tant’è che aveva stipulato un accordo con il compagnuccio di banco: ella avrebbe svolto i suoi compiti di matematica e geometria in cambio di disegni, assegnati per le ore di arte.

Promossa a pieni voti, Margherita ebbe la possibilità di continuare a studiare e nei primi giorni di ottobre dei successivi tre anni ella si ritrovò, con immensa gioia, seduta al banco, con il suo grembiulino nero.

Ma questa bellissima routine, sebbene resa molto faticosa dal lavoro domestico e di aiuto in cascina, non poteva protrarsi per sempre.

Il 15 giugno del 1940 portò a casa la pagella del quarto anno di scuola elementare, con il suo ormai regolare “lodevole” di aritmetica, ricevette il suo solito “brava” pronunciato con tono abbastanza indifferente dalla famiglia, e ripose con cura il misero abbigliamento e materiale didattico, non vedendo già l’ora di poterlo tiare fuori l’autunno successivo.

Al seguito di un estate purtroppo per nulla buona, a causa della scarsità del raccolto di granoe le restrittezze economiche portate dal periodo di guerra, il primo ottobre 1940 la piccola Rita si svegliò all’alba, tanto era emozionata di iniziare la quinta, ultimo anno delle elementari, il più importante, al seguito del quale avrebbe ottenuto la sua licenza elementare. Ma la sua gioia presto si spense, quando dopo averla uscire in cortile, il signor Rolfo, il quale aveva appena terminato la mungitura, la prese per un braccio e con tono minaccioso le urlò: “ E tu dove credi di andare?”,  “A scuola, padre, oggi inizia la quinta” rispose la bimba con un filo di voce. “Scuola? Non abbiamo più una lira! Fila a lavorare!”. Ma Margherita, tanto era desiderosa di andarci, osò rifiutarsi. Non lo avesse mai fatto. Ricevette uno schiaffo così violento che le rimase per giorni il segno.

In verità, solo il segno esterno, la manata rossa sulla guancia, scomparse dopo poco tempo. Invece il segno lasciato non solo dal gesto violento, quanto più da quella enorme privazione che le era stata fatta, quello rimase profondo e indelebile nell’animo di Margherita.

Da quel momento sarebbe stata costretta non solo a svolgere il duro lavoro di cascina anziché le divertenti espressioni matematiche, ma non avrebbe più potuto imparare nulla, non avrebbe più potuto godere di quel senso di arricchimento che solo la cultura può dare.

Le attività di lettura, scrittura e calcolo vennero completamente rimpiazzate dalla cucina, cura del bestiame, raccolto, pulizia della casa.

Ma Margherita, testarda e acuta qual era, fece di tutto per non perdere tutto ciò che aveva appreso. Iniziò qualche tempo dopo a scrivere un diario occasionalmente, in esso annotava le sue sensazioni, emozioni, desideri e anche aneddoti e avventure.

Proprio attraverso quel diario oggi sappiamo che Margherita fece grandi sacrifici per poter fare studiare i propri figli. Una volta in pensione ella cercò sempre prima di aiutare e, successivamente di imparare qualcosa di nuovo dai figli di questi ultimi. E questo lo possiamo testimoniare di persona anche noi nipoti.


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