Margherita nacque in un piccolo paesino di campagna nella
zona del cuneese. La famiglia da cui proveniva era di umili condizioni, tutti i
membri dovevano contribuire al sostentamento familiare lavorando nei campi.
Margherita era la primogenita dei signori Rolfo, i quali
avevano dato alla luce altri tre figli, due femmine e un maschio. Per questo,
doveva ritenersi molto fortunata, perché, essendo la più grande, avrebbe avuto
la possibilità di studiare.
Infatti, il primo ottobre 1934 la bambina indossò la
camicetta, la gonnellina e le scarpette nuove, legò insieme fogli di carta con
una cintura e a piedi si recò in paese, dove di fronte al cancello della
piccola scuola, le sue cugine più grandi la aspettavano per entrare insieme.
Questo giorno fu per Margherita uno dei più importanti della
sua vita, stare seduta al banco con altre bambine e ascoltare i racconti della
maestra, oppure riprodurre sul foglio quei segni strani che quest'ultima
incideva col gessetto sulla lavagna.
Non passò molto tempo prima che la bambina si rese conto di
quanto era bello andare a scuola, di quanto imparare a mettere insieme lettere
per formare una parola, leggerla e scriverla, e fare di conto fosse divertente.
Bisogna, però, tenere presente che ella era sempre stata
curiosa. Sin dai primi anni era spinta a voler scoprire cose nuove e non era
per nulla ingenua.
A Margherita non importava che la scuola fosse lontana, la
strada la conosceva e per lei non era un peso doversi svegliare tanto presto
per non arrivare in ritardo.
La gioia, però, si spegneva dopo che la campanella che
annunciava la fine delle lezioni suonava. La fanciulla doveva correre in fretta
a casa, mettersi gli abiti da “mincadì” (che in piemontese significa “di tutti
di giorni”) e aiutare in qualsiasi lavoretto domestico che fosse in grado di
svolgere. Doveva aiutare la nonna a dare da mangiare agli animali della
cascina, cogliere i frutti degli alberi e della terra e aiutare la mamma in
cucina nella preparazione dei pasti.
Dunque, nei suoi pomeriggi non c'era tempo per dedicarsi allo
studio. Ma questo non le impediva di svolgere i compiti assegnati dalla
maestra di sera; infatti, dopo cena, saliva nella camera dei bambini con una
candela e studiava per un'oretta, prima che gli adulti arrivassero a
controllare che i bimbi stessero dormendo.
Margherita era molto portata per la scuola, soprattutto per
la matematica, e faceva progressi di mese in mese. Ricevettero conferma di
questo suo percorso anche i genitori, al momento della consegna delle pagelle.
Ma per loro non fu motivo di chissà che grande entusiasmo, la priorità era il
lavoro, il poter avere qualcosa da mettere in tavola tutte le sere.
L’acuta bambina continuò con diligenza a presentarsi alle
lezioni e a svolgere i compiti assegnati con serenità , per quanto le era
possibile. Si divertiva tantissimo a fare gli esercizi di aritmetica, la sua
era una mente scientifica e razionale, infatti non era per nulla creativa,
tant’è che aveva stipulato un accordo con il compagnuccio di banco: ella
avrebbe svolto i suoi compiti di matematica e geometria in cambio di disegni,
assegnati per le ore di arte.
Promossa a pieni voti, Margherita ebbe la possibilità di
continuare a studiare e nei primi giorni di ottobre dei successivi tre anni
ella si ritrovò, con immensa gioia, seduta al banco, con il suo grembiulino
nero.
Ma questa bellissima routine, sebbene resa molto faticosa dal
lavoro domestico e di aiuto in cascina, non poteva protrarsi per sempre.
Il 15 giugno del 1940 portò a casa la pagella del quarto anno
di scuola elementare, con il suo ormai regolare “lodevole” di aritmetica,
ricevette il suo solito “brava” pronunciato con tono abbastanza indifferente
dalla famiglia, e ripose con cura il misero abbigliamento e materiale
didattico, non vedendo già l’ora di poterlo tiare fuori l’autunno successivo.
Al seguito di un estate purtroppo per nulla buona, a causa
della scarsità del raccolto di granoe le restrittezze economiche portate dal
periodo di guerra, il primo ottobre 1940 la piccola Rita si svegliò all’alba,
tanto era emozionata di iniziare la quinta, ultimo anno delle elementari, il
più importante, al seguito del quale avrebbe ottenuto la sua licenza
elementare. Ma la sua gioia presto si spense, quando dopo averla uscire in
cortile, il signor Rolfo, il quale aveva appena terminato la mungitura, la
prese per un braccio e con tono minaccioso le urlò: “ E tu dove credi di
andare?”, “A scuola, padre, oggi inizia la quinta” rispose la bimba con
un filo di voce. “Scuola? Non abbiamo più una lira! Fila a lavorare!”. Ma
Margherita, tanto era desiderosa di andarci, osò rifiutarsi. Non lo avesse mai
fatto. Ricevette uno schiaffo così violento che le rimase per giorni il segno.
In verità , solo il segno esterno, la manata rossa sulla
guancia, scomparse dopo poco tempo. Invece il segno lasciato non solo dal gesto
violento, quanto più da quella enorme privazione che le era stata fatta, quello
rimase profondo e indelebile nell’animo di Margherita.
Da quel momento sarebbe stata costretta non solo a svolgere
il duro lavoro di cascina anziché le divertenti espressioni matematiche, ma non
avrebbe più potuto imparare nulla, non avrebbe più potuto godere di quel senso
di arricchimento che solo la cultura può dare.
Le attività di lettura, scrittura e calcolo vennero
completamente rimpiazzate dalla cucina, cura del bestiame, raccolto, pulizia
della casa.
Ma Margherita, testarda e acuta qual era, fece di tutto per
non perdere tutto ciò che aveva appreso. Iniziò qualche tempo dopo a scrivere
un diario occasionalmente, in esso annotava le sue sensazioni, emozioni,
desideri e anche aneddoti e avventure.
Proprio attraverso quel diario oggi sappiamo che Margherita
fece grandi sacrifici per poter fare studiare i propri figli. Una volta in
pensione ella cercò sempre prima di aiutare e, successivamente di imparare
qualcosa di nuovo dai figli di questi ultimi. E questo lo possiamo testimoniare
di persona anche noi nipoti.
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